il Palazzo di Giustizia di Milano
Un museo pressoché sconosciuto, e, allo stesso tempo, un’opera importante per capire la cultura architettonica e figurativa degli anni Trenta.
Marcello Piacentini, uno degli architetti più noti del tempo, progettò un luogo simbolo di Milano, circondandosi degli artisti più importanti sulla scena nazionale (oltre cinquanta, tra cui Martini, Fontana, Sironi e Carrà) con l’obiettivo di interpretare il concetto di giustizia negli anni del regime fascista; nel solco delle influenze artistiche del periodo che vedono una rinascita della decorazione murale negli edifici pubblici.
L’accessibilità limitata, dovuta alla sicurezza che la natura del Palazzo richiede, la funzione giuridica che esso svolge e la sua storia profondamente legata al regime fascista hanno certamente contribuito alla scarsa fama dell’edificio e delle opere contenute. Questo sito è stato realizzato con l’obiettivo di raccontare la storia del Palazzo e delle sue opere e di garantire una parziale fruibilità, nella speranza di poter in futuro consentire anche visite conciliabili con l’attività del Palazzo.
LE SUE OPERE
LA SUA STORIA
Piacentini, incaricato dal podestà di Milano di progettare il nuovo Palazzo di Giustizia, colse l’occasione per realizzare quello che avrebbe dovuto essere il più grande esempio di architettura ideata secondo l’idea di unità delle arti. Egli aveva già affrontato questa tematica in altri progetti come il Palazzo di Giustizia di Messina, il Palazzo dell’industria e la Città Universitaria a Roma, ma Milano avrebbe dovuto essere, come scrisse a Gallarati Scotti, “senza dubbio il mio capolavoro”. Il desiderio di Piacentini era quello di convocare i maggiori artisti d’Italia così da rendere il suo Palazzo un museo d’arte moderna, come scrive Raffaele Calzini nella rivista Architettura del 1942.
Il progetto venne approvato nel 1932, i lavori iniziarono subito per concludersi alla fine del decennio, a guerra ormai scoppiata.
Le opere non erano ancora tutte terminate quando giunsero le prime polemiche sul Palazzo oggetto fin dai primi anni dalla sua realizzazione di svariate critiche mosse in primis dagli artisti rammaricati di non avervi partecipato, seguite da quelle ad alcune opere a tema giudaico a motivo delle leggi razziali ed infine dal clima politico dell’Italia antifascista che vedeva in questo edificio l’impronta del regime e della sua propaganda.
Tutto questo sommato al clima politico postbellico non solo privò il Palazzo di una reale inaugurazione, ma lo condannò ad un’immeritata impopolarità producendo eguale effetto sulle opere. Alcune infatti non vennero mai realizzate, altre vennero temporaneamente coperte e altre ancora subirono la distruzione parziale o totale per effetto della damnatio memoriae.