Il progetto di Piacentini per le opere
Il progetto di Piacentini per le opere
Ripercorrendo le fonti archivistiche e bibliografiche è stato possibile conoscere, seppur non in maniera completa, il progetto iniziale di Piacentini a partire dal quale si può tentare un raffronto con la situazione attuale. Dal confronto tra i disegni e la realizzazione si può subito notare delle differenze nella decorazione esterna dell’edificio, la presenza nei primi di una scultura raffigurante la Giustizia per la quale venne anche indetto un concorso, ma che venne poi posta all’interno del cortile d’onore.
Il progetto decorativo, avente come tema conduttore la giustizia e la sua espressione attraverso l’opera, fu studiato dall’architetto che selezionò gli autori, i temi e persino le tecniche da utilizzare. In una lettera del 1942 indirizzata ad Ugo Ojetti, Piacentini scrive che le opere portate a compimento furono 114 realizzate da oltre cinquanta artisti fra scultori e i pittori.
In ogni aula di udienza di ogni grado (Corte d’appello, Tribunale e Pretura) fu prevista un’opera dalle dimensioni costanti di 5 per 5 metri posta nella porzione concava della parete di fondo. Solo l’Aula Magna e l’aula Prima d’Assise furono trattate diversamente.
Altre opere furono invece previste nei grandi ambulacri e al di sopra dell’ingresso delle aule immaginandovi una maggiore presenza del pubblico che vi avrebbe transitato e sostato; questi spazi rimandano, per la presenza e disposizione delle opere, alle gallerie museali.
L’esterno, già austero nei primi disegni, viene ulteriormente semplificato durante la realizzazione: sulle facciate compaiono le severe iscrizioni giustinianee dell’ingresso principale in corso di Porta Vittoria e i due rilievi di Vigni sul fronte opposto in via San Barnaba. Sui fianchi dei profondi portali d’ingresso, ad esclusione di quello principale su Corso di Porta Vittoria, gli ammonitivi bassorilievi di Melotti accompagnano all’interno del Palazzo.
Degli otto cortili solo i due centrali presentano decorazioni: all’interno della corte d’onore vi è la grande statua de “La Giustizia”, di fronte a lei e alle sue spalle sei piccoli rilievi marmorei ornano le pareti. Nel secondo cortile centrale, quasi nascosta agli occhi del pubblico, si trova una vasca d’acqua decorata, opera di Silvano Taiuti.
L’osservazione attenta dello schema datato 7 ottobre 1936, conservato nel Fondo Piacentini consultabile presso la Biblioteca di Architettura di Firenze, consente di notare svariate incongruenze o differenze rispetto alla situazione attuale. Ad esempio, il fondale dell’ambulacro della Corte d’Appello avrebbe dovuto essere un grande mosaico commissionato a Ferruccio Ferrazzi, mosaico che venne invece sostituito da tre grandi bassorilievi realizzati dagli artisti Romanelli, Martini e Dazzi che al contrario non compaiono nel suddetto schema, Ferrazzi realizzerà invece due encausti per due aule di udienza della Corte d’Appello. Le ragioni di queste modifiche non sono tuttavia note.
Lo schema sopracitato intitolato “Specchio 2” elenca del resto soltanto 66 opere, ma considerando quanto scritto da Picentini (114 opere) e quanto illustrato nel numero monografico della rivista Architettura del 1942 è plausibile ipotizzare l’esistenza di un altro foglio non rinvenuto. Nella tabella seguente sono indicati i nomi degli artisti presenti nello “Specchio 2”, quelli assenti, quelli presenti le cui commissioni differiscono dall’effettiva realizzazione e quelli presenti nelle pubblicazioni degli anni immediatamente successivi alla realizzazione del Palazzo.
Nell’idea piacentiniana, nonostante l’eterogeneità dei singoli artisti di diversa scuola e provenienza, l’insieme delle opere avrebbe dovuto avvicinarsi idealmente ai grandi cicli decorativi gotici e rinascimentali. Raffaele Giolli scrive su Casabella Costruzioni (novembre 1942):
“Campigli ci ha detto qualcosa in più, quando gli abbiam chiesto com’è stato organizzato questo lavoro degli affreschi. Alla distribuzione intervenne l’architetto con un grande foglio su cui erano molti disegnini e un’infinità di titoli: ciascun pittore scegliesse fra quelli, se non sapeva trovar da sé. E se qualcuno -Campigli, Carrà- trovò i propri argomenti, invece, nel suo cervello, anche questi furono ufficialmente registrati.”
I soggetti da cui trarre ispirazione potevano essere episodi biblici, le numerose allegorie della giustizia, la giustizia romana, oppure l’iconografia legata al regime.
Per il collaudo delle opere fu costituita nel 1939 una commissione giudicatrice composta, oltre che da Piacentini stesso, da Tito Preda, allora primo presidente della Corte d’appello di Milano, Antonio Maraini segretario del Nazionale Sindacato Artisti, Raffaele Calzini storico dell’arte, Gino Chierici Sovrintendente della Lombardia e da Pietro Bassi Intendente di Finanza.