Autori ignoti e migrazioni di opere
L'area prima del Palazzo
Il progetto iniziale di Piacentini per le opere, rispetto alla situazione attuale, ha subito diverse variazioni. Alcuni mutamenti già in fase di realizzazione del Palazzo altri sopraggiunti negli anni successivi e per svariate cause. Attraverso lo studio delle fonti si è cercato di ricostruire alcuni spostamenti e alcuni degli autori di cui non si era a conoscenza; l’indagine non può dirsi ancora conclusa e alcune situazioni rimangono ancora indefinite.
Di alcune opere, ad esempio, rimane sconosciuto l’autore: è il caso dei sei piccoli bassorilievi nel cortile centrale, tre posti alle spalle della statua rappresentate “La Giustizia”, e tre di fronte a lei. Si tratta di simboli ricorrenti all’interno del Palazzo e che ritroviamo sia nei bassorilievi di Melotti (nei portali di via Freguglia, via San Barnaba e via Manara) sia nelle balaustre che affacciano sull’atrio principale, essi sono tratti tanto dall’iconografia fascista, come l’aquila che regge un fascio littorio tra gli artigli, quanto da attributi della giustizia come la spada e le tavole della legge.
Una delle vicende più complesse riguarda la storia dei sette busti presenti oggi nell’atrio principale. Confrontando la situazione odierna con una foto pubblicata nella rivista “Architettura: Rivista del Sindacato nazionale fascista architetti” (Marcello Piacentini, Garzanti, Gennaio-Febbraio 1942) è evidente l’assenza dei bassorilievi al momento dell’inaugurazione del Palazzo.
Presso l’Archivio fotografico del Castello Sforzesco è stata tuttavia rinvenuta una foto del 1934 che raffigura il cantiere del Palazzo, dove si può osservare sui fianchi del portale tripartito la presenza di 12 nicchie, alcune di esse contenenti dei busti dalle sembianze analoghe a quelli presenti oggi nell’atrio principale.
Studiando uno schema rinvenuto nell’archivio piacentini presso la Biblioteca di Architettura dell’università di Firenze e qui di seguito riportato si legge di 12 busti di giureconsulti commissionati a tre artisti: quattro a Carlo Pizzi, quattro ad Alberto Bazzoni e quattro a Francesco Wildt e che avrebbero dovuto essere sculture marmoree di forma circolare (diametro 1,5 mt) ed essere collocate proprio sui piloni del portale sulla facciata principale. Tuttavia oggi non vi è alcuna opera sull’ingresso di Corso di Pota Vittoria, e la loro assenza si può notare già nelle foto pubblicate al compimento dell’opera.
Le foto del cantiere del 1934 mostrano una evidente corrispondenza dei soggetti e del numero dei busti, con una modifica nella forma diventata quadrata, che sembra combaciare con quelli attualmente presenti nell’atrio principale, il primo atrio arrivando proprio da Corso di Porta Vittoria.
È plausibile pensare che i sette busti presenti oggi nell’atrio siano una parte di quelli commissionati da Piacentini ai tre artisti sopra menzionati, avendo avuto modo di confrontarli con le foto storiche e avendone anche rilevato le dimensioni che corrispondono effettivamente a 1,5 mt. Molti dubbi però rimangono. Dalle foto pubblicate in Architettura nel 1942 i busti non compaiono né sui piloni del portale principale, né all’interno dell’atrio, dove siano stati conservati una volta rimossi e quando siano invece stati collocati all’interno dell’atrio rimane ignoto; così come non è stato possibile risalire all’effettivo autore, o agli autori, di questi sette realizzati.
Il preciso e rigoroso piano di Piacentini per la parte figurativa subì cambiamenti a causa di una forte diatriba con l’allora primo presidente della Corte d’Appello, il quale commissionò di sua iniziativa tre opere a Giannino Lambertini, distrutte nel dopoguerra e da altre opere sopraggiunte nel tempo, in particolar modo alla fine del ‘900. Una delle opere estranea al progetto di Piacentini ma che si volle presto all’interno del palazzo è quella di Cesare Beccaria arrivata nel 1943 opera di Giuseppe Grandi del 1870.
La scultura, collocata originariamente davanti al vecchio Palazzo di Giustizia venne sostituita da una copia bronzea a causa di evidente degrado provocato dall’esposizione agli agenti atmosferici, e l’originale spostata in altre collocazioni prima di essere definitivamente collocata all’interno del nuovo Palazzo di Giustizia, davanti alla lapide commemorativa degli avvocati caduti per la Patria dove la possiamo ammirare ancora oggi e goderne della sua maestosità a seguito dei recenti restauri.