Marcello Piacentini
Marcello Piacentini
A cavallo tra 800 e 900 gli uffici giudiziari disseminati nella città di Milano necessitavano di un nuovo polo centralizzato. Nel 1929 venne anche indetto un concorso che però non portò ad alcun risultato, furono premiati tre progetti ma nessuno di essi fu ritenuto adeguato ai requisiti; così nel 1931 il podestà Marcello Visconti decise di affidare in forma diretta all’architetto Marcello Piacentini il compito di realizzare il nuovo Palazzo di Giustizia.
La scelta della figura di Piacentini non sorprende affatto data la grande fama e il successo che godeva in quel periodo. Egli, nato a Roma nel 1881 e lì formatosi, iniziò a lavorare nello studio del padre architetto, dimostrando fin da subito un grande talento, costruì una lunga ed importante carriera realizzando innumerevoli progetti sia come urbanista che come architetto. Raggiunse l’apice della sua carriera durante il ventennio fascista: è nota la sua vicinanza al regime e anche per questa ragione gli furono affidate molte opere pubbliche. L’apprezzamento da parte del duce gli assicurò posizioni di rilievo e grande successo, ma fu al tempo stesso la causa di grande ostilità nei suoi confronti dopo la guerra.
In una lettera del 1940 a Gallarati Scotti Piacentini descrive il Palazzo di Giustizia come il suo capolavoro: in questo suo progetto cerca infatti di esprimere l’idea di un’architettura come opera d’arte globale, l’architettura come arte maggiore guida di tutte le altre arti. Egli cura ogni aspetto del progetto, dal maggiore al minore: disegna le aule e tutti i loro arredi, definisce ogni rivestimento delle pareti e dei pavimenti a seconda della funzione pubblica o privata degli spazi. Ogni dettaglio è pensato, dalle porte all’illuminazione realizzata in collaborazione con Fontana Arte che nasceva in quegli anni; ma è soprattutto attraverso l’apporto delle oltre cento opere che Piacentini affida ai maggiori artisti dell’epoca e che ornano le aule e gli spazi pubblici del Palazzo che si concretizza il suo concetto di opera d’arte unitaria.
Le dimensioni dell’edificio sono senza dubbio notevoli, esso occupa un’area di quasi 40 mila metri quadri (quasi tre volte il Duomo), di forma trapezoidale con un ingresso per ognuna delle strade su cui affaccia e con otto cortili interni. Ospita al suo interno la corte d’Appello, il Tribunale e la Pretura in una suddivisione spaziale che rende ogni sezione autonoma anche rispetto agli accessi, ma con atri e gallerie che ne consentono il collegamento interno.
Il Palazzo è stato realizzato con alcune modifiche rispetto al disegno originario, anche se non sono chiare le ragioni alla base dei cambiamenti, ad esempio i cortili inizialmente ne erano previsti 9 ma vennero realizzati 8 con una modifica della pianta, o la statua della Giustizia non più stata posta in facciata ma all’interno del cortile d’onore. Oggi, ad esclusione di un importante lavoro di ampliamento degli anni ’80 del secolo scorso che ha aggiunto all’edificio due livelli visibili da via San Barnaba, il Palazzo si presenta così come venne realizzato. Per un’opera di tale importanza si attendeva una maestosa inaugurazione che però non ci fu mai a causa della guerra e di alcune vicende politiche che lo videro protagonista: alcune delle opere, alla luce delle leggi raziali del 1938, vennero accusate di giudaismo e ritenute quindi sconvenienti Tutto ciò provocò una serie di critiche soprattutto politiche che influenzarono la percezione pubblica del nuovo Palazzo che iniziò la sua attività senza grandi manifestazioni, ma nonostante ciò ancora oggi, a distanza di quasi un secolo dalla sua nascita, eccelle e risalta non soltanto per la sua funzione istituzionale.